Non solo numeri

Terra da vivere e non da consumare

Mille ricette per salvare il territorio e chi lo abita

A sud come a nord del mondo porzioni sempre più consistenti di terra sono consumate dalla speculazione edilizia, dalla cementificazione, dall’inquinamento, dall’agricoltura intensiva. Negli ultimi anni a minacciare la terra e la sicurezza alimentare di milioni di persone è anche il cosiddetto land grabbing (acquisizioni su larga scala di terreni da parte di compagnie transnazionali). Anche in Europa. Secondo il rapporto Land concentration, land grabbing and people's struggle in Europe, promosso dal Coordinamento Europeo Via Campesina (Ecvc) e da Hands Off the Land (Hotl), il 3% dei proprietari di terreni detiene metà di tutte le superfici agrarie in Europa.

Come sanno da tempo molti cittadini e associazioni invertire la rotta e fermare il consumo indiscriminato di terra è diventata una questione di sopravvivenza. Questo però significa pensare e sperimentare nuove forme di accesso alla terra e di sviluppo agricolo che tutelino gli ecosistemi, garantiscano la sicurezza alimentare, valorizzino la partecipazione e la responsabilità collettiva e che, soprattutto, difendano il principio di “terra bene comune”.

Tra meno di 500 giorni proprio l’Italia con Expo2015 avrà il compito di portare all’attenzione del mondo il tema centrale della sicurezza alimentare. Un’occasione che Cospe, Cevi, Legambiente e Cipsi hanno voluto cogliere per lanciare “Abitare la nostra terra”, una campagna di sensibilizzazione ed educazione sui temi della sovranità alimentare.

Ma qualcosa è stato fatto, come dimostra il report pubblicato recentemente da Wwf Italia con i primi risultati della campagna “Riutilizziamo l’Italia. No al consumo di suolo, sì al riuso dell’Italia”. In un anno sono state censite “dal basso” 575 esperienze di riuso sociale ed ambientale del patrimonio esistente non utilizzato, sottoutilizzato o abbandonato, in gran parte promosse da associazioni e gruppi di cittadini. “Mappare il cambiamento”, ovvero censire le buone pratiche di bonifica e recupero del territorio è anche lo scopo di Cittadini reattivi, un progetto di “inchiesta partecipata” sostenuta da Fondazione Ahref in collaborazione con BiciPace e Legambiente Lombardia (ascolta l’intervista all’ideatrice Rosy Battaglia).

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La Rete Genuino clandestino, invece, sta promuovendo la campagna “Terra bene comune” in difesa delle terre pubbliche e contro il consumo di suolo (leggi il manifesto). Il destino delle terre pubbliche rappresenta un tema di grande interesse, vista la recente decisione dello Stato di dismettere le terre demaniali (Legge di stabilità 2012).
Tanto che la Consulta nazionale della proprietà collettiva, un organismo nato nel 2006, ha lanciato l’appello “Gli usi civici non si possono vendere” . Come ci ha spiegato il presidente Michele Filippini (leggi l’intervista), nel nostro Paese non mancano terre di proprietà collettiva, oltre 1 milione di ettari secondo Istat che, invece, di ‘svendere’ potremmo maggiormente valorizzare dal punto di vista ambientale e produttivo.

Coldiretti ha stimato in Italia 338mila ettari di terreni agricoli di proprietà dello Stato, gestiti attraverso amministrazioni ed enti pubblici, per un valore di oltre 6 miliardi di euro. Al primo posto c'è il Piemonte con oltre 56mila ettari, segue il Lazio con 41mila, poi il Trentino con 31mila, Alto Adige e Basilicata con 24mila, Lombardia con 23mila.

Anche la Toscana vanta un piccolo “tesoretto” di aree agricole di proprietà pubblica che potrebbero essere valorizzate. In tutto si tratta di oltre 2.500 ettari, con le aree più importanti rappresentate dalla Tenuta di Alberese (Grosseto), Cesa (Arezzo), San Rossore (Pisa). Ed è proprio a questo scopo che la Regione Toscana, prima in Italia, ha istituito la Banca della terra per censire e affidare a giovani agricoltori, riuniti in cooperative agricole, terreni abbandonati o incolti, così da farli tornare produttivi e creando al contempo occupazione.

Ad essere incolte sono anche molte terre di privati cittadini, così il portale TerraxChange si pone l’obiettivo di far incontrare proprietari di terre/orti incolti e agricoltori o appassionati agricoltori. Ad oggi grazie al portale sono avvenuti oltre 400 scambi (ascolta l'intervista a Marco Tacconi).

Impedire che si edifichi su un terreno, difendere l’integrità di un orto o di un boschetto è, invece, lo scopo dei Custodi del Territorio, la rete di responsabilità civile creata da Legambiente. Una pratica innovativa che rende i proprietari di terra, agricoltori, enti locali protagonisti di un’azione di conservazione del paesaggio e di miglioramento della biodiversità. Ad oggi sono ‘sotto custodia’ 1.422.000 mq di terra grazie all’impegno di 31 custodi. Da pochi giorni è anche online il Manuale europeo sulla custodia del territorio a disposizione di chiunque voglia conoscere e cimentarsi in questa esperienza.

Gat_Scansano_10E poi c’è “Adotta la fattoria” un’associazione nata un anno fa nel frosinate che offre in comodato d’uso piccoli appezzamenti di terra a patto che gli ‘adottanti’ li coltivino secondo i principi dell’agricoltura biologica. Come ci ha spiegato il presidente Bruno De Martino “io stesso possiedo terreni che non voglio lasciare incolti, così insieme ad altri amici abbiamo pensato di offrire lotti di 100 mq a chi abbia voglia di coltivarli. E’ terra buona per farci l’orto, frutteti, uliveti. Ad oggi siamo 10 soci ma stiamo allargando la nostra rete, tanto che abbiamo pensato anche all’adozione ‘a distanza’, così anche chi non abita qui ma ha voglia di mangiare prodotti di qualità e salvaguardare una campagna splendida può farlo adottando un terreno e un agricoltore”.

Coltivare la terra in modo partecipato e responsabile è una scelta di vita che stanno compiendo molti cittadini: una sorta di “terza via allo sviluppo” che, ad esempio, dal 2009 stanno sperimentando nei pressi di Pisa i partecipanti alla Caps-Comunità di promozione agricola sociale o a Bologna l’associazione Campi Aperti, fondata da un gruppo di contadini e produttori che si sono uniti per promuovere un’agricoltura sostenibile e comunitaria. O più recentemente i Gat – Gruppi di acquisto terreni, una sorta di evoluzione dei Gas-Gruppi di acquisto solidale, come ci ha spiegato Emanuele Carissimi.

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