Gli approfondimenti di Cesvot

Giornata internazionale contro l'omolesbobitransfobia: il dossier di Cesvot

Il nostro esperto di comunicazione sociale Bruno Lo Cicero commenta la campagna "Diritto di essere"

Nelle consulenze di marketing e comunicazione gratuite erogate agli aderenti Cesvot, una delle prime cose di cui si parla è l’importanza di curare la propria immagine, e la seconda cosa di cui parliamo è che nel concetto “curare la propria immagine” la parola più importante è “curare”. La cura è un esercizio quotidiano e spesso postumo (successivo al momento dell’azione), e in questa seconda fase la cura spesso fa acqua.

Nel 2021 eravamo ancora nei fumi di una pandemia che ci ha sconvolti e che solo oggi cominciamo a vedere come un ricordo. Può essere quindi che, nella bulimia informativa di quel momento storico delicato e nuovo così particolare, qualcuno non abbia visto la campagna di cui ci occupiamo questa volta.

È una campagna contro l’omofobia pubblicata intorno al 17 maggio, perché il 17 maggio del 1990 l’omosessualità è stata rimossa dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale delle malattie pubblicata dall'Organizzazione mondiale della sanità.

La trovate a questo link  del profilo di Palazzo Chigi, e così viene descritta:

In occasione della Giornata Internazionale contro l’omofobia…, l’UNAR del Dipartimento per le Pari Opportunità, in collaborazione con il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, lancia la campagna di comunicazione #DirittoDiessere. La campagna si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del rispetto dei diritti umani e della cultura della non discriminazione nei confronti delle persone LGBT e di stimolare la riflessione sugli stereotipi e sui pregiudizi che stanno alla base di atti discriminatori, promuovendo il valore delle differenze per una società aperta e inclusiva.

Il video, 60 secondi netti, ha un’ottima struttura narrativa anche se piuttosto semplice, ed una buonissima resa filmica data da immagini strappate e veloci, che contrastano nello sviluppo narrativo con la lentezza del pensiero dell’omofobo, rappresentato secondo lo stereotipo del “medioman troglodita”, vestito in modo sciatto, che trasuda scarsa educazione e cultura. Le due ragazze invece sono fresche e sorridenti, e si baciano sulla panchina di una metropolitana cosmopolita e distratta, per nulla interessata al loro orientamento sessuale, come peraltro dovrebbe essere.

Perché allora ne parliamo? Primo, ogni anno c’è un 17 maggio. Secondo, nella narrazione il discriminato è l’omofobo, e l’indifferenza è il suo castigo. Terzo, perché ci sono due o 3 inciampi che rendono più difficoltoso il progetto di comunicazione.

Per superare questi inciampi, facciamo un esercizio: leggete solo una volta la parola omolesbobitransfobia. Adesso provate a ripeterla ad occhi chiusi e voce alta. Che sensazione vi rimane ? (non la voglio sapere…)

Facciamone un altro: il video è sul profilo di Palazzo Chigi, quindi ufficialissimo. Provate a cliccare il link dentro alla pagina… Vi comparirà la scritta “ Non sei autorizzato ad accedere a questa pagina.” (provare per credere).

Probabilmente la pagina di atterraggio è scaduta o è stata spostata, c’è un errore nello script oppure mille altre motivazioni tutte tecniche, tutte valide… però, se io sono il target e tu mi intercetti, mi ingaggi, mi solleciti, mi interessi, mi proponi di informarmi, mi suggerisci un link vicino al video (che non è quello promosso nel video), per comodità ci clicco sopra, e quando atterro non sono autorizzato… per bene che ti vada la mia risposta sarà “Sì, ciao”.

Curare la propria immagine vuol dire curare questi aspetti tecnici, e forse anche evitare di usare una “parola impossibile” come omolesbobitransfobia. Sarà anche giusta, ma forse ha bisogno di un sinonimo più adatto alla comunicazione.

Alla prossima, e fate pubblicità.

Ps

Tutti conosciamo una “acolorata-saccaro-carbonico-bevanda-in alluminio” … ma nessuno la chiama così anche se tutti la beviamo. Coca o Pepsi o private label è una questione di orientamento personale, questione che anche qui non rileva.

 

 

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