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Lunaria promuove una campagna di comunicazione dal respiro internazionale per abbattere ogni stereotipo.

Da bambino impazzivo per il Carosello in plastilina del Fernet Branca (anche se non ero precisamente il focus target), negli anni '90 mi ha affascinato lo spot Levi’s (soundtrack “Boombastic” di Shaggy)… poi da genitore - di figlie piccole - ho passato pomeriggi interi con il Didò.

Sarà per questo che trovo molto affascinante la campagna di comunicazione online Words are stones, promossa da Lunaria in collaborazione con Antigone (Grecia), SOS Racisme (Spagna), Grenzelos (Autria), Adice (Francia) e Kisa (Cipro) che usa la plastilina e lo stop-motion.

Nei 5 brevi video di un minuto le parole pesanti, gli stereotipi su immigrazione e invasione culturale vengono smontati (per meglio dire, infranti) e secondo le intenzioni dei promotori Words are stones si rivolgerà in primo luogo ai giovani politicamente non schierati, quelli che non hanno un’idea definita ed ostile riguardo alle migrazioni e non fanno parte del mondo antirazzista”.

Trovo che questo linguaggio antico ma insieme fresco (grazie anche alle possibilità della motion-graphics attuale) sia un buon intercettore per colpire l’attenzione; c’è però anche il rischio che proprio il focus target dei giovani-giovanissimi possa trovarlo un po' troppo agée, perché questa modalità è tipica dei linguaggi (e dei passatempi) dei bambini più piccoli.

Le generazioni giovani, per quanto native digitali, possono essere ancora attratte da linguaggi filmici che li riportano alla loro infanzia (non così lontana come la mia… ), ma temo che il linguaggi più accattivanti per loro siano piuttosto i tik-tok (mini-storie brevissime che sfruttano la capacità tecnica delle videocamere dei moderni smartphone) ovvero il frutto più attuale della “civiltà dell’immagine” di cui i ragazzi (e non solo loro) sono protagonisti e vittime.

Le parole sono pietre” è comunque una frase bella, da usare sia come headline che come pay-off (anche se nei 5 film non è stata usata in questi ruoli di apertura o chiusura del film stesso): le parole si fanno materia e sommergono il malcapitato protagonista, infliggendogli la fine ingloriosa dedicata a chi non soppesa le sue esternazioni.

È una frase che spesso diciamo in un dialogo a due, ma che in contesti più ampi e sociali non ha spazio, sommersi come siamo dalla bulimia di contatti e sollecitazioni (tutti i giorni, tutto il giorno): anche nei contesti sociali (e social) le parole sono tutte pietre, e la gente le pietre le schiva proprio per non farsene sommergere.

Così, spesso si corre il rischio che a vincere sia il silenzio, e ben venga quindi una azione di comunicazione che (attraverso un codice linguistico vecchio, ma “nuovizzato”) ne ricorda il valore, con un respiro internazionale che ne aiuta la diffusione presso i pubblici più sensibili, e in grado di recepirlo.

Una strategia di comunicazione efficace non è solo un problema di “dizionario”, quanto (e prima di tutto) di obiettivi, messaggi e target (core, focus, allargati o casuali che siano).

Alla prossima…e fate pubblicità.

 

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