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La campagna di questo mese è il classico “uno - due”, un doppio colpo che stenderebbe un peso massimo, ma con la leggerezza della semplicità.

Nella pubblicità commerciale (di tipo persuasivo) spesso non si hanno informazioni vincenti, non esiste una vera e propria reason why (la ragione per la quale un consumatore dovrebbe farsi convincere da questa o quella marca).
In questo caso, una delle scelte tattiche più utilizzate è la “validazione a supporto”, che in linguaggio tecnico sarebbe “un elemento retorico di sostegno alla promessa”, retorico, quindi fittizio, artificioso, artefatto, linguisticamente involuto, in qualche modo tendente al falso.

La validazione più utilizzata è il testimonial famoso: un personaggio che con la sua notorietà dovrebbe appunto “testimoniare” le qualità del brand pubblicizzato, come fare bere il caffè solubile a George Clooney, far usare Internet a Francesco Totti, vestire ed ingioiellare velini e veline improbabili (spesso semi-sconosciuti) e molto ma molto “retorici” (vedi sopra).

Le campagne di grande impegno utilizzano i testimonial di impatto ed istituzionalità, nelle campagne del fundraising nel sociale, o per le associazioni nazionali più note (una su tutte Airc e la più che ventennale collaborazione con Vianello-Mondaini), e da questi testimonial ci viene trasmessa invece sincerità, affidabilità.
La testimonianza in pubblicità non è buona o cattiva in sè, o giusta o sbagliata; semplicemente deve essere “adatta o non adatta”; e la campagna di questo mese è sicuramente “adatta”.

Questa campagna ci assesta il primo colpo con gli stessi protagonisti nel ruolo di testimoni. I testimonial sono, infatti, i ragazzi di Trisomia 21, del Centro Terapeutico di Rignano sull'Arno e di Sipario. Rispetto al buonismo fine a se stesso (a rischio di disinteresse o distacco), la campagna mette al centro la testimonianza nel suo valore più vero e sincero, e per questo pubblicitariamente più efficace.

La scelta dell'agenzia di utilizzare i volti, le espressioni, l'umanità serena e convintamente impegnata, dimostra che non è obbligatorio l'approccio politically correct-scorrect, né per forza “strappa-lacrime” né un testimonial famoso. E per stenderci, l'agenzia ricorre poi alla parola: la seconda forza espressiva di questa campagna è infatti nel testo, che in questa posizione si chiama headline (linea di testa).



Potentissimo colpo da ko, è una headline in due parole così secca, precisa, affilata ed attenzionale da svelare il senso di stupidità nascosto nell'ovvio: “per il lavoro UGUALMENTE ABILE”.
Proprio la seconda parte, “ugualmente abile”, scardina semanticamente (oltre che acusticamente) la nostra assuefazione a quel “diversamente”, che noi uomini della strada usiamo perché è difficile trattare l'handicap senza “scappare dall'handicap”.

In questa campagna è invece l'handicap che ci libera dall'imbarazzo, è la disabilità stessa che ci aiuta a non preoccuparci, è nella diversità che ci sentiamo uguali (target e testimonial).

Dopo averla vista (e dopo un primo sorriso sui volti sereni dei testimonial protagonisti), quel che resta è il retrogusto positivo che chiamiamo 'ricordo', e che ci farà risuonare per sempre nel cervello la frase “diversamente abili” come una canzone stonata …
Quel che resta è la leggerezza semplice ed efficace delle reason-why autentiche, forti e rassicuranti come la verità.

Alla prossima, e …fate pubblicità.

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