Storie

“Scrivere è una catarsi”

Parla Susanna, vincitrice del premio “Le donne si raccontano” di Lilt Firenze

Il suo racconto “Il passo del tempo” ha vinto nel 2011 il Premio che Lilt Firenze promuove ogni anno. Un bellissimo testo, pubblicato da Cesvot nel volume “Le donne si raccontano”, che descrive un’esperienza dolorosa ma trasmette anche tanta forza e coraggio. Come nasce la sua storia di malattia e perché quel titolo al racconto?

La mia storia di malattia viene ormai da lontano. Mi sono ammalata per la prima volta nel 2003. Ma quella volta la prognosi fu favorevole: il tumore era piccolo, in situ. Venni operata e poi seguirono sedute di radioterapia e per 5 anni venni monitorata e seguita con controlli semestrali. Ma cercai fin da subito di cancellare quel momento comunque doloroso. La ripresa della vita normale mi fece distrarre dall'approfondire quella esperienza. Poi 5 anni fa il tumore si è ripresentato e questa volta in maniera aggressiva. Ho subito diversi interventi chirurgici, l'asportazione dei due seni, terapie chirurgiche di ricostruzione. E poi 5 mesi di chemioterapia. Un periodo pesantissimo con il fisico che per tanto tempo non rispondeva più. Ecco che il percorso riabilitativo al Cerion, a Villa delle Rose, dove ho incontrato psiconcologi, oncologi, fisioterapiste, ha contribuito a sollevarmi dalle pene di quei tristi momenti di malattia. In particolare allora mi è servito moltissimo il corso di scrittura creativa che ha permesso al fiume di dolore che avevo dentro e che aveva annegato le mie emozioni, di uscire, come in piena e di trasformarsi in scrittura. E' così che è nato il racconto che poi ho presentato al Premio “Le donne si raccontano”. Il titolo si riferisce al nuovo passo che ho dato ai tempi della mia vita, sicuramente più lenti di prima: la malattia mi ha insegnato che il tempo è prezioso e che va vissuto attimo dopo attimo, nel bene e nel male e che solo in questo modo riusciremo a dilatarlo, anche se fosse pochissimo quello che ci resta.

Dal suo racconto si intuisce che è una biologa di laboratorio, dunque una persona che conosce molto bene il corpo umano e la scienza medica. Queste conoscenze l’hanno aiutata ad affrontare la malattia?

Da una parte le competenze che ho per il mio ruolo professionale mi hanno aiutato ad inquadrare bene e a comprendere quello che mi stava succedendo. E quindi via via ho potuto capire cosa mi aspettava e quali erano le aspettative di vita che potevo avere. Dall'altra parte spesso mi sono trovata in difficoltà quando i medici colleghi che ben conoscevo per motivi professionali, mi hanno trattato più da collega che da paziente. Allora ho cercato di comunicare il mio disagio con molta forza chiedendo di poter fare la paziente e basta!

Verso la fine del racconto scrive dell’incontro con il gruppo “Donne come prima”, uno spazio che definisce “di verità e compartecipazione”, da “difendere con i denti”. Ci può spiegare meglio?

Gli spazi e i tempi che sono riuscita a conquistare durante e dopo la malattia per partecipare alle tante attività di Villa delle Rose erano per me impensabili prima che mi ammalassi. Dopo sono diventati degli appuntamenti imperdibili! Lo scambio delle esperienze dolorose con tante donne è stato per me essenziale. Durante quel tempo in cui tutte sedute in cerchio, con l'aiuto di una psicologa, ci scambiavamo idee, pensieri, dolori e gioie, tutto sembrava più affrontabile, più leggero perchè il dolore veniva ripartito fra tutte e così risultava più sostenibile. Ho partecipato a quasi tutti i corsi e gli incontri offerti dal servizio Cerion: arteterapia, gruppo di ascolto, musicoterapia, rilassamento, teatro, scrittura creativa, logoterapia, dignity therapy. Molti di questi corsi sono stati ideati sulla base di terapie innovative e all'avanguardia nel campo della psicooncologia. Il gruppo della psicooncologia ha contatti a livello internazionale e a livello nazionale è un'esperienza unica. Ancora oggi per me lo spazio di Villa delle rose va difeso e conservato gelosamente come una risorsa di benessere.

Infine quale è, secondo lei, la differenza tra parlare e scrivere di sé e della malattia?

Quando parlo della malattia il ritratto che descrivo è legato alla razionalità dell'esperienza. Racconto, elenco date e dati, fatti e sedute mediche, tempi e pazienza del malato. Solo quando chi mi ascolta è con me in una relazione amicale profonda riesco a condividere emozioni relative alla malattia. Con la scrittura, invece, è come se il fiume di emozioni e sensazioni non mediate dalla ragione uscisse tutto d'un colpo fuori, impetuosamente e soprattutto facendomi rivivere emozionalmente i momenti vissuti, spesso tremendi e bui. E' una specie di catarsi, perchè quando metto il punto finale allo scritto, mi sento sollevata, ripulita come se quello che dolorosamente era custodito, avesse trovato la sua via di fuga e mi lasciasse svuotata e serena.
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