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Uscire dalla violenza si può

centro antiviolenza Frida Kahlo

La Toscana può contare su una rete di 11 centri antiviolenza, raccolti nel coordinamento regionale Tosca. Tra questi il Centro antiviolenza “Frida Kahlo” fondato a San Miniato, in provincia di Pisa, nel 2013. Il Centro, che fa parte anche della rete nazionale Dire, offre i suoi servizi di accoglienza e supporto a donne vittime di violenza in tutto il territorio del Valdarno Inferiore. Per conoscere meglio la sua attività abbiamo intervistato Cristina Cerbone, una delle operatrice del Centro.

Come è nato il centro antiviolenza e che tipo di servizi offrite?

Abbiamo aperto il Cav - Centro antiviolenza “Frida Kahlo” nel giugno 2013 grazie al finanziamento del Dipartimento Pari Opportunità. Il Centro offre un luogo sicuro e protetto alle donne vittime di violenza ed i loro figli/e; un luogo nel quale le donne sono sostenute nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza. Offriamo ascolto telefonico 24 ore su 24 per 365 giorni all'anno, colloqui di sostegno 5 giorni su 5, sostegno psicologico per la rielaborazione del trauma, consulenza legale gratuita e assistenza legale e ospitalità nei casi ritenuti a rischio di donne e minori vittime di violenza. Inoltre abbiamo anche un sportello anti-stalking e percorsi di sostegno alla genitorialità, accompagnamento ai servizi pubblici socio-sanitari e supporto nella ricerca di lavoro. Ad oggi operano 4 operatrici, due avvocate, una psicoterapeuta e 4-5 volontarie, adeguatamente formate sul tema della violenza di genere e sulle modalità di accoglienza e sostegno.

L’attività del centro può contare anche su una rete di sportelli territoriali. Come è nata l’idea degli sportelli e che tipo di sinergie avete attivato sul territorio?

Il nostro centro opera in un territorio ampio, quello del Valdarno Inferiore che conta diversi comuni e frazioni, densamente popolati e spesso non collegati con i mezzi pubblici. Così per garantire i nostri servizi anche alle donne che non hanno un mezzo di trasporto e vivono lontane da San Miniato, nel 2012 abbiamo aperto, grazie al finanziamento della Regione Toscana e in collaborazione con i Comuni coinvolti, 4 nuovi sportelli nei comuni di Castelfranco di Sotto, Montopoli Val d’Arno, Santa Croce sull’Arno e Fucecchio. Attraverso questi sportelli offriamo una serie di servizi, su appuntamento, come colloqui di sostegno, consulenza legale, colloqui psicologici, ecc. Per noi stare sul territorio e qui costruire sinergie è molto importante. Non potremmo offrire un servizio davvero efficace senza una costante collaborazione con le istituzioni locali e i servizi territoriali: siamo, infatti, convinte che solo una reale sinergia negli interventi di sostegno alle donne possa garantire quel contesto sensibile e consapevole che può supportare concretamente le donne e prevenire la violenza. Grazie a queste sinergie abbiamo realizzato una stesura condivisa di linee guida e protocolli operativi, abbiamo costituito tavoli e incontri periodici con i servizi sociali e le unità responsabili di violenza e minori e realizzato progetti comuni. La stessa apertura del centro antiviolenza Frida Kahlo è frutto del partenariato con la Società della Salute del Valdarno Inferiore. Il nostro centro è inoltre parte del servizio Seus - Emergenza Urgenza Sociale, rivolto alle situazioni emergenziali che richiedono un immediato “soccorso sociale”, a cui fanno riferimento forze dell’ordine, pronto soccorso, medici di base, scuole, terzo settore, ecc. Nel 2014 abbiamo anche sottoscritto la convenzione Codice Rosa con la ex Azienda Sanitaria Locale 11, Società della Salute Valdarno e Pubbliche Assistenze di Empoli.

Quante donne si rivolgono a voi mediamente ogni anno e quali le forme di violenza più frequenti?

Da marzo 2008 a dicembre 2012 abbiamo registrato l'accoglienza presso il primo sportello di ascolto di circa 200 donne. Nel corso del 2013, grazie all'apertura di 4 nuovi sportelli e del Centro Antiviolenza Frida Kahlo, il numero delle donne è notevolmente aumentato. Dal 2013 al 2015 hanno chiesto aiuto al Centro 380 nuove donne. Tale incremento dimostra che il fenomeno della violenza è ancora largamente sommerso: garantire un servizio specifico è l’azione più importante per contrastare la violenza di genere. Le donne accolte o ospitate in questi anni nella larga maggioranza dei casi (80%) sono vittime di più forme e tipologie di violenza (psicologica, fisica, sessuale e stalking), nei restanti casi sono vittime esclusivamente di violenza psicologica e in minima parte soltanto di stalking. Nella quasi totalità dei casi l’autore della violenza è il partner o l’ex partner (coniuge, fidanzato, convivente), raramente (1%) è una persona non conosciuta. E poi, come ci dicono i dati, è bene ricordare che la violenza è trasversale: riguarda donne e uomini di tutte le nazionalità, di diverse condizioni economiche e professionali, con diversi titoli di studio ed età.

Con lo portello Aurora siete tra i pochi centri antiviolenza in Italia ad offrire un sostegno mirato anche alle donne con disabilità. Come è nato questo servizio?

Abbiamo realizzato il progetto Aurora nel 2013, grazie ad un finanziamento della Philip Morris ottenuto tramite l’associazione Vita Giving Europe Onlus. Con il progetto abbiamo aperto, in via sperimentale, uno sportello specializzato e dedicato all’accoglienza e al sostegno di donne disabili vittime di violenza domestica e sessuale. La violenza di genere, come sappiamo, affonda le sue radici nella discriminazione e nella disparità di potere uomo-donna, che investe in modo trasversale tutte le società e culture. La violenza contro le donne, anche se può assumere diverse forme, presenta sempre le stesse cause e le stesse dinamiche. Se è vero che la violenza agita nei confronti delle donne disabili, in quanto donne, presenta quindi tratti comuni alla violenza sulle donne normodotate, è anche vero che in presenza di una disabilità motoria, sensoriale, psichica o intellettiva, si presentano ulteriori problemi. Grazie a questa sperimentazione, ci siamo rese conto delle difficoltà specifiche che le donne disabili incontrano nell’accesso anche agli stessi servizi di sostegno e di accoglienza esistenti per le vittime di violenza. Spesso, infatti, nei casi di disabilità motoria, risulta ancora più difficile recarsi in un centro antiviolenza, se poi le donne hanno una disabilità sensoriale le difficoltà possono nascere già nella fase di contatto. Inoltre la segregazione che il maltrattante esercita nei loro confronti è ancora più grave. Per questo motivo spesso gli strumenti e i canali di comunicazione che generalmente i centri antiviolenza mettono a disposizione non risultano efficaci o sufficienti a garantire l’accesso alle donne disabili. La nostra idea è quella di trovare altri finanziamenti dedicati che ci possano permettere di proseguire il progetto, anche con la sperimentazione di nuove modalità di accesso e contatto.

Avete anche realizzato un’importante indagine conoscitiva sulla violenza alle donne disabili. Quali dati sono emersi?

Sì, il progetto Aurora prevedeva anche la realizzazione di un’indagine rivolta ad operatrici/operatori che lavorano presso servizi e strutture di accoglienza e supporto a persone con disabilità. Abbiamo proposto un’intervista semi-strutturata che indagava, tra le altre cose, anche il livello di conoscenza del fenomeno e le modalità di intervento messe in atto nei casi di violenza di genere. Tutte le persone intervistate hanno segnalato una maggiore vulnerabilità delle donne disabili e quindi una maggiore esposizione alla violenza, soprattutto nei casi di disabilità intellettiva. Operatori e operatrici hanno evidenziato anche una maggiore difficoltà nel riconoscimento della violenza da parte delle donne disabili e un loro maggiore isolamento sociale. Anche rispetto alla violenza sessuale le donne con disabilità, soprattutto intellettiva, sono più esposte perché spesso poco consapevoli del proprio corpo e della propria sessualità. Dall’indagine è emerso che tutti gli/le intervistati/e, nello svolgimento del loro lavoro, hanno avuto esperienze di donne disabili maltrattate o abusate, o hanno avuto il sospetto che alcune donne disabili da loro seguite fossero vittime di qualche forma di violenza. La tipologia di interventi che sono stati attuati in queste situazioni, nella maggior parte dei casi, non ha previsto un intervento preciso sulla violenza di genere e non ha coinvolto soggetti con specifiche competenze sul fenomeno. In molti casi gli/le stessi/e operatori/trici hanno tentano di supportare la donne, anche nel percorso di denuncia, ottenendo però scarsi risultati. Quasi sempre, infatti, le donne non si sono sentite in grado di affrontare la situazione di violenza. Dall’indagine emerge quindi la necessità di attivare maggiori collaborazioni tra servizi dedicati alle persone disabili e centri antiviolenza e promuovere una formazione specifica sulla violenza di genere rivolta al personale che lavora in questi servizi.

Come può contattarvi una donna vittima di violenza?

Attraverso due linee telefoniche attive 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno: 346 7578833 e 0571 42649. Oppure scrivendo all’indirizzo e-mail centroantiviolenzafridakahlo@gmail.com o associazione.frida@libero.it. Siamo anche sui social network, su Twitter con il profilo @CAVFridaKahlo e su Facebook con la pagina Frida Onlus e il gruppo Associazione Frida. Stiamo sperimentando anche il contatto via Skype per svolgere i colloqui a distanza. E’ uno strumento molto utile per venire incontro alle esigenze di alcune donne o per casi particolari, come quelli emersi con il progetto Aurora. Insomma noi ci siamo e siamo pronte ad accogliere e sostenere qualunque donna sia vittima di maltrattamenti e abusi, perchè uscire dalla violenza si può!

Dalla Cina all'Argentina, il giro del mondo salvavita

Pisa Firenze Roma - Pechino Zhenzhou Canton - New York -  Panama - Cordoba (Argentina) Buenos Aires -  Roma. Quattro continenti, cinque nazioni, undici città, dieci tratte aeree, 50mila km per consegnare in 48 ore un preziosissimo carico: il midollo osseo di un donatore cinese destinato al trapianto su un bambino argentino malato di leucemia. Questa l'ultima grande impresa del Nopc - Nucleo Operativo di Protezione Civile Logistica di Trapianti.

Georges Marianelli, 66 anni, lavoratore della Piaggio in pensione e volontario del Nopc, ci è riuscito in 43 ore. Consegnare in tempo e intatto il carico rappresentava la conditio sine qua non per effettuare il trapianto: superate le 48 ore, infatti, le cellule non possono più essere trapiantate. E quelle cellule erano davvero preziose perché il donatore cinese era l'unico al mondo compatibile con il bimbo argentino.

Un giro del mondo in 43 ore che è stato possibile grazie a Georges e ai volontari dell'associazione toscana che hanno pianificato e organizzato minuziosamente la missione e supportato tutta l'attività di trasporto dalla centrale operativa.

Georges Marianelli con i sanitari cinesi

"Sono partito da Pontedera il venerdì – racconta Marianelli e sono tornato il sabato pomeriggio della settimana successiva. Otto giorni per compiere 50mila chilometri, con ben 50 ore di viaggio». Dall’aeroporto di Fiumicino a Pechino e quindi a Zhenzhou. "Lì ho preso in consegna le cellule staminali progenitrici e sono ripartito per Canton, poi ho fatto tappa a New York, Panama e infine Cordoba, in Argentina, dove alle 2 di notte ho consegnato le cellule per il trapianto".

Massimo Pieraccini, presidente dell'associazione, è commosso nonostante la lunga esperienza.“E’ stata una vera corsa contro il tempo. Questa volta sapevamo che l’impresa era davvero molto rischiosa, ma siamo arrivati in tempo, dopo 43 ore di viaggio. Un giro del mondo per poter far eseguire il trapianto ed assicurare ad una giovane vita la possibilità di continuare il suo cammino”. 

Georges Marianelli in CinaLa missione di Georges si è guardagnata anche l'attenzione della stampa cinese. Il Nucleo Operativo offre, infatti, un servizio pressoché unico al mondo. Fondata a Firenze nel 1993, il Nopc è un'organizzazione di volontariato specializzata nel risolvere tutte le problematiche connesse alla logistica dei trapianti, garantisce servizi di trasporto - nazionali, internazionali ed intercontinentali -  24 ore su 24, 7 giorni su 7. Un orgoglio toscano e una eccellenza italiana nel mondo.  

Per saperne di più sull'associazione ascolta l'intervista a Massimo Pieraccini oppure visita il sito www.nopc.eu

Migranti: Gelli (Pd) “Migration Compact è la chiave per affrontare e risolvere emergenza.”

“Il Migration Compact è la chiave per affrontare in modo maturo a livello europeo l’emergenza migranti. Il fatto che a proporlo sia stato il nostro Paese è l’ennesima prova che sul tema l’Italia debba essere il punto di riferimento di tutta l’Unione Europea se vogliamo davvero rispondere senza ulteriori rinvii ad una questione che riguarda tutti senza esclusioni.

Il Governo faccia partire il Piano nazionale vaccinazione

Il Governo cerchi di accelerare i tempi per attuare il prima possibile il Piano nazionale vaccinazione. Il costo che il nostro Paese è costretto ad affrontare a causa delle complicanze che si stanno manifestando nei pazienti che rinunciano al vaccino non è più sostenibile. E’ evidente che le campagne di comunicazione non stanno producendo i risultati sperati ed è chiaro che serve intervenire subito.

Tessera sanitaria migranti: Gelli (Pd) “Passaggio fondamentale per il sistema di accoglienza, ora concentrarsi sull'istituzione di un registro sanitario”

“Siamo convinti che la tessera sanitaria del migrante rappresenti un passaggio fondamentale per garantire un sistema di accoglienza migliore sotto tutti i punti di vista in linea con uno dei filoni d’indagine della Commissione d’inchiesta” E’ quanto dichiarato da Federico Gelli, responsabile sanità Pd e presidente della commissione d’inchiesta sui migranti commentando l’annuncio del ministro Lorenzin sull’imminente partenza del progetto tessere sanitarie ai migranti che rientra nel progetto Ue 'Care', con l'Italia capofila con l'Istituto Nazionale Salute, Migrazio

"L'isola che c'è", a Pisa la casa-alloggio per mamme di neonati prematuri

Dal 2002 esiste a Pisa la casa di accoglienza “L’isola che c’è” che ospita i genitori di neonati prematuri o con gravi patologie ricoverati presso l’Ospedale S. Chiara. La Casa è nata grazie all’impegno di Apan - Associazione Pisana Amici del Neonato e del personale sanitario dell’Unità di Neonatologia dell’Ospedale. Secondo la Società Italiana di Pediatria ogni anno sono 1milione e 254mila i bambini ricoverati in ospedale. A Pisa un bell’esempio di sinergia tra volontariato e istituzioni permette di offrire un importante servizio a molte mamme di neonati prematuri costrette a vivere anche lunghi periodi lontano da casa. Per saperne di più abbiamo intervistato Cristina Galavotti, presidente dell’associazione.

Come è nata l’idea della Casa di accoglienza “L’isola che c’è” e come siete riusciti a realizzarla?

Siamo partiti nel 2000, quando è nata l'Associazione Pisana Amici del Neonato ad opera di un gruppo di genitori, sostenuti dal personale medico ed infermieristico dell'U.O. di Neonatologia dell'Ospedale S. Chiara di Pisa. Scopo dell'associazione è promuovere iniziative di solidarietà ed aiuto ai nuclei familiari che vivono l'esperienza di una gravidanza interrotta bruscamente ed il conseguente disagio, emotivo e materiale, che comporta il lungo ricovero del proprio bambino. Lavorando con le famiglie ci siamo resi conto che uno dei disagi più gravi era stare lontano da casa e trovare un alloggio a Pisa. Così nel gennaio 2002 abbiamo attivato il progetto “La cura del neonato e della sua famiglia” che, tra vari servizi di assistenza ai nuclei familiari dei bambini nati pretermine o con patologie alla nascita, prevedeva anche la realizzazione di una Casa Alloggio che abbiamo chiamato “L’isola che c’è”. La Casa nasce per ospitare le donne che non vogliono lasciare il proprio bambino durante la degenza ma poi l’abbiamo aperta anche alle coppie di genitori. Il progetto è stato finanziato, negli anni, da Regione Toscana, Società della Salute, Provincia e Azienda Ospedaliera Pisana che ha messo a disposizione i locali. Oggi, però, i finanziamenti si sono ridotti e stiamo cercando di capire come sia possibile andare avanti.

Come è strutturata la Casa e quante persone può ospitare?

La Casa Alloggio, che si trova all’interno dell’Ospedale S. Chiara, offre 10 posti letto in camere confortevoli, dispone di una cucina e di un’ampia sala. E’ dotata di una stanza tiralatte, fornita di ausili tecnici e materiali sterilizzati necessari alle madri a tirare il latte. Inoltre nel gennaio 2013 abbiamo aperto una nuova stanza, con bagno in comune, in grado di ospitare nuclei familiari con figli durante la giornata. In accordo con l’U.O. di Neonatologia la stanza è utilizzata, anche per il pernottamento, dalle coppie genitoriali che hanno il figlio in gravissime condizioni e in pericolo di vita. La Casa ospita le mamme in forma residenziale, mentre i papà vengono ospitati durante il giorno nella stanza delle famiglie. La durata del soggiorno è legata alla prematurità del bambino e alle patologie ad essa correlate. Si va da un minimo di 15 giorni ad un massimo di 4 mesi. Al 31 dicembre 2015 le mamme ospitate sono state più di 1.800 provenienti da tutta la Toscana, in particolare dalle province di Pisa, Livorno, Lucca e Massa Carrara.

Quanti sono i volontari e gli operatori impiegati nel progetto?

Il nostro team è formato da due assistenti sociali, una che coordina e segue i percorsi dalla dimissione al territorio e un’altra che segue i percorsi di aiuto attraverso l’accompagnamento delle famiglie e gli interventi in reparto. Abbiamo poi una psicologa counselor e un’operatrice sociale per la gestione della casa e i percorsi di accoglienza e dimissione. Tutto lo staff è reperibile 24h/24h. L’operatrice della casa si occupa della spesa due volte alla settimana e della pulizia dei locali insieme alla ditta ospedaliera che svolge le grandi pulizie. Provvediamo inoltre all’organizzazione dei pasti laddove le mamme non siano in grado di gestire, per stress o problemi fisici, i pasti. L’assistente sociale svolge attività informativa e di consulenza in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, informazione e orientamento per l’accesso ai servizi sociali  territoriali in casi di particolare problematicità sociale o in presenza di patologie alla nascita. La counselor offre sostegno psicologico alla madre e al nucleo familiare. L’associazione può inoltre contare su circa 20 volontari che promuovono e diffondono l’attività dell’associazione e aiutano ad organizzare convegni, eventi e corsi di formazione.

Cosa significa accogliere e sostenere le mamme di neonati prematuri o comunque ospedalizzati? Quali le difficoltà?

Quando le mamme arrivano nella Casa è il primo momento in cui possiamo capirne i bisogni, i disagi, le paure e, attraverso l’ascolto attivo, cerchiamo di valutare come intervenire nella presa in carico della mamma e del nucleo familiare. L’inserimento è un momento determinante per far sentire la mamma accolta, non solo dagli operatori, ma anche dalle altre mamme, in un contesto nuovo ed in un momento di particolare fragilità emotiva. Questa fase è essenziale per la buona riuscita della permanenza nella Casa Alloggio. Il tempo impiegato per i colloqui con le mamme (o con le coppie) è un tempo, in cui si sentono accolte e comprese “nel qui ed ora” della situazione; un tempo in cui possono esprimere le proprie emozioni, le proprie difficoltà nel momento contingente, riferire le proprie preoccupazioni sul futuro dei figli e anche di se stesse. La richiesta di sostegno sostanzialmente verte sulle preoccupazioni, le ansie e i sensi di colpa per la situazione inaspettata che si è determinata; le donne avvertono un senso d’inadeguatezza nell’essere ‘mamme’ principalmente perché si sentono le prime responsabili della nascita pretermine, come se si sentissero incapaci per non aver tenuto dentro di sé sufficientemente bene il loro bambino. Queste sensazioni possono comportare stati d’ansia e forme di depressione che, se colte e affrontate tempestivamente, vengono elaborate e superate in breve tempo e, comunque, in modo direttamente proporzionale allo stato di salute del neonato.

Per saperne di più sulle reti di accoglienza per malati e familiari leggi il Dossier "A casa lontani da casa".

Nella foto la festa per i dieci anni di Apan.

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