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3-7 giugno 2013, Campagna 'Abiti puliti'

Intervista a Francesco Gesualdi, presidente del Centro Nuovo Modello di Sviluppo

La Campagna internazionale Clean Clothes, che in Italia prende il nome di Abiti Puliti, è nata per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori e delle comunità lungo l'intera filiera produttiva nel settore tessile.
La maggior parte dei vestiti che indossiamo non sono infatti realizzati in Italia, ma in uno dei tanti paesi in cui le marche di abbigliamento delocalizzano la produzione, come ad esempio in Bangladesh, dove le condizioni di vita e di lavoro nei laboratori tessili sono estremamente precarie. Tristemente noto è il recente crollo del palazzo di otto piani a Dacca, in cui sono morti oltre 380 lavoratori che producevano capi di abbigliamento per le multinazionali, tra cui l'italiana Benetton.
Presente in 14 paesi europei, dal 1989 la campagna si impegna per sensibilizzare e mobilitare i consumatori, fare pressione sulle imprese e i governi. In Italia è promossa da Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Coordinamento Nord/Sud del Mondo, Fair e Manitese.

L'ultimo successo della campagna riguarda proprio la firma dell'accordo per la sicurezza e la prevenzione degli incendi in Bangladesh da parte dell'azienda Benetton. Che cosa possono fare, invece, da parte loro, i cittadini per diventare consumatori consapevoli? Lo abbiamo chiesto a Francesco Gesualdi, presidente del Centro Nuovo Modello di Sviluppo.

Ci può dire quale è il livello di rispetto dei diritti dei lavoratori tessili da parte delle aziende toscane che spostano la propria produzione all'estero?

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